È stato presentato nell’ambito dell’incontro di studio “Alla ricerca delle miniere”, svoltosi nelle settimane scorse a Fiavé, il volume “Fare Rame. La metallurgia primaria della tarda età del Bronzo in Trentino: nuovi scavi e stato dell’arte della ricerca sul campo”, curato da Paolo Bellintani e Elena Silvestri, archeologi della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. La pubblicazione aggiorna, con le ricerche condotte dopo il 2000 dall’Ufficio beni archeologici, le conoscenze sullo sfruttamento dei giacimenti di rame nella pre-protostoria del Trentino: oltre 200 segnalazioni di aree dedicate alla lavorazione dei minerali di rame datate dalla fine dell’età del Rame all’età del Bronzo, circa 4500-3000 anni fa.
Il volume di 326 pagine si avvale di 12 contributi relativi soprattutto a recenti interventi su siti fusori della tarda età del Bronzo del settore orientale della provincia, ma anche all’archeologia mineraria del versante nord delle Alpi centro-orientali (nord-Tirolo).
Gli approfondimenti relativi al territorio trentino riportati nel volume riguardano i siti fusori di Segonzano - Peciapian, Transacqua - Pezhe Alte e Acquedotto del Faoro in Primiero, Fierozzo e Sant’Orsola in Val dei Mòcheni, Malga Rivetta a Lavarone e Platz Von Motze a Luserna – sugli omonimi altopiani. Un’ampia sintesi finale fa il punto sulle conoscenze dei contesti archeologici meglio conosciuti nella catena operativa del rame: i siti di lavorazione del minerale di rame (siti fusori), precisandone la natura dei depositi archeologici, i tipi di strutture, quali ad esempio i forni, e l’organizzazione degli spazi di lavoro.
Grazie a queste ricerche è stato possibile aggiornare le conoscenze su uno degli aspetti più interessanti del passato più antico del Trentino. Attorno a 3300 anni fa, all’apice della richiesta di questa materia prima, il rame della Valsugana e dei territori limitrofi era sfruttato non solo per uso locale, ma anche veicolato attraverso una rete di scambi che le più recenti indagini ipotizzano estesa su buona parte del continente europeo. Come sottolinea il Soprintendente per i beni culturali Franco Marzatico nell’introduzione al volume, “tracce di rame ‘trentino’ sono state segnalate infatti in spazi ben lontani dall’area di provenienza, fino all’Italia meridionale, ai Balcani, alla Grecia e alla Scandinavia.” La tematica è avvincente poiché coinvolge molte altre discipline scientifiche, essenziali per la ricostruzione degli aspetti paleo-ambientali e tecnologici, ed è centrale negli studi sulla formazione e lo sviluppo delle prime società complesse, all’alba della Storia.
Il volume evidenzia inoltre le collaborazioni con istituti italiani e stranieri a partire da quella con il Deutsches Bergbau-Museum di Bochum, avviata già negli anni ‘80, e ora con le Università di Padova, Innsbruck e Bochum, preziose occasioni di scambio, confronto e arricchimento culturale.
L’auspicio dei curatori è che il lavoro svolto possa servire anche per avviare una più specifica riflessione sulla ricerca e sulla tutela di questi contesti nelle altre regioni minerarie della Penisola e delle grandi isole d’Italia.
All’attività di studio e ricerca riportata nel volume, si aggiunge ora un altro fondamentale tassello della ricostruzione della “via del rame” sud-alpino: la riscoperta dell’area mineraria di Vetriolo, sul versante sud della Panarotta. I primi dati sono stati presentati nel corso del convegno di Fiavé (“Alla ricerca delle miniere”, 24-25 settembre 2021). Il deposito archeologico, situato a 1.500 metri di quota, è stato messo in luce in seguito alla devastazione provocata nel 2018 dalla tempesta Vaia e ai lavori che l’hanno seguita. Si tratta di un’area mineraria pre-protostorica, già segnalata negli anni ‘60, per la quale si avvia ora una nuova stagione di ricerca grazie anche alla collaborazione con l’Università di Bochum.